Preghiera per Lucy

Pubblicato: 16 aprile 2012 in pretesti
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E siamo al 16 aprile. Piove.
A Pasqua il vento ha anticipato la pioggia di qualche ora. È stato un vento traditore: non per caso è arrivato di notte. E non per caso è arrivato fin qui da chissà dove per portar via qualcosa, infido, singhiozzante come l’aria intorno alle ali di un allocco a caccia. Affamato. Fischiava nelle fessure dei serramenti e tra le crepe della gronda; come in una chiacchiera della veglia si prendeva le sue pause. Ed era basso, perché sotto una luna tutta intera le nuvole erano ferme. Non gli importava niente delle resurrezioni. Nemmeno a me, in fin dei conti.
Oggi, invece, piove per colpa del ciclone Lucy. Noi siamo ancora ai margini di Lucy, siamo alla periferia del vortice e da qui viene quasi voglia di fare la sua conoscenza. È inquietante la pretesa umana di dare nomi così familiari e prossimi ai disastri del tempo (o a ciò che rischia di diventare un disastro). Naturalmente a patto che tali disastri (annunciati o semplicemente temuti) siano prevedibili.
Il carattere della prevedibilità delle cose ha la sua importanza. Evoca vecchie ossessioni, come quella di saper prevedere il futuro. Il vecchio Elisée Reclus, in uno dei suoi scritti di geografia sovversiva, ha descritto un popolo di uomini affettuosi, di intrepidi marinai e di scultori di singolare abilità: gli aleuti. Erano sapienti divinatori di temporali ma non avevano l’abitudine di dare un nome ai disastri ai quali pure erano, loro malgrado, esposti di frequente.
Noi, oggi, alla periferia di un ciclone che siamo riusciti a prevedere, diamo nomi alle sciagure per farcele un po’ amiche o almeno per rendercele familiari.
Ci sono disastri che invece un nome ce l’hanno già. E sono nomi di battesimo, comuni e propri, presenti in ogni calendario di chiesa. Uno di questi si chiama Mario: sta pensando all’avvenire del Paese governandolo e per questa ragione qualcuno è arrivato a chiamarlo Salvatore in un passato recente di tristezza insolitamente profonda. Mario è arrivato di notte come un vento traditore e si è infilato nelle crepe e nei serramenti. Fa le pause della chiacchiera della veglia e porta sempre via qualcosa.
Gli aleuti non davano nomi ai disastri e se è per questo non sentivano nemmeno il bisogno di trovare qualcuno al quale affidarsi. Eppure erano capaci di cacciare grandi balene distribuendo poi le carni nel modo più giusto. E non conoscevano guerre o conflitti, invidie o rancori. I greci ortodossi in missione sull’isola abitata da questo popolo, nei lunghi anni della loro permanenza non sono riusciti a insegnare alcuna preghiera. Perché non serviva a niente. E non serve a niente dare un nome ai disastri.
È sempre il 16. Piove ancora; sarà così ancora per qualche giorno.

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