C’erano i circoli privati fino a qualche anno fa ed erano parecchi. Facevi la tessera e ci andavi quando ti pareva non tanto per le attività culturali quasi inesistenti, ma per bere la birra a buon prezzo. Poi la Finanza ne ha chiusi un bel po’: l’attività culturale era una copertura (così dicevano ai giornali i finanzieri al termine dei controlli e una volta messi i sigilli ai locali) perché a loro giudizio l’esercizio era in realtà commerciale a tutti gli effetti. Di ristorazione, qualche volta. Il buon prezzo per l’utente finale era garantito da un regime fiscale favorevole: niente (o poca) Iva, niente burocrazia da mantenere, scarsa attività consulenziale su fatture e carte bollate, nessun obbligo di registri fiscali, nessun adempimento riguardo le uscite di sicurezza, eccetera.
Era un buon sistema, devo dire. Buono e tendenzialmente equo: i gestori di questi circoli campavano, non diventavano certo milionari grazie all’Iva risparmiata. Ed era, va detto, legale.
In questi giorni sono andato alla festa di un grande partito. Sono quelle feste estive messe a luglio, feste in cui si parla di politica, di società, di cultura. Di temi di interesse generale, insomma. Dibattiti, reading, interviste, cinema all’aperto e cose di questo genere. E bancarelle: una fiera di paese. C’è anche la ristorazione, a volte appaltata a ristoranti veri e propri (ovviamente profit), a volte gestita direttamente dai volontari del partito. No profit, dunque. Fai la fila alla cassa (anzi, da quello o quella che raccoglie i quattrini), paghi e ti danno subito il fogliettino numerato dei blocchetti colorati Buffetti grazie al quale potrai prendere un po’ più avanti il panino con la porchetta o col wurstel, e la birra. Fateci caso, se ci andate: i soldi sono manovrati sempre in cassette portavalori da ufficio, quelle di vernice rossa o verde, con la chiusura a chiave e la maniglia di metallo lucente.
Probabilmente i partiti utilizzano lo stesso sistema dei circoli privati. Non lo so per certo, ma immagino di sì. Con una differenza: la tessera, in questo caso, non serve per prendere birra e panino. La Finanza non va a chiedere scontrini e ricevute. Anzi: all’ingresso dell’area della festa trovi la Polizia di Stato a far la guardia, pronta a intervenire in caso di odiose provocazioni sempre possibili quando di parla di ideologie e di come si immagina il presente per realizzare qualcosa di buono per il futuro.
La cosa, va detto, non mi scandalizza. Trovo, certo, una differenza importante: il partito può vendere tranquillamente la birra e i circoli privati, invece, hanno la Finanza alle natiche.
Non mi scandalizza, ma mi fa venire in mente il concetto contorto dell’elusione fiscale.
Il fatto è questo.
L’evasore fiscale è il noto parassita della pubblicità televisiva dell’Agenzia delle Entrate. Dovrebbe pagare, ma non lo fa. Vive a spese degli altri, dicono le Entrate. L’elusore, invece, le tasse le paga, ma in misura ridotta. Cioè: l’elusore utilizza norme esistenti, vigenti, per pagare otto al posto di dieci. Si insinua nelle pieghe delle leggi, entra nella giungla delle circolari, degli interpelli, nel mercatone dei decreti e lo fa per pagare meno utilizzando norme a lui favorevoli. Tecnicamente, quindi, non fa assolutamente niente di illegale. Eppure è considerato un soggetto potenzialmente pericoloso, uno da tenere d’occhio. Di recente anche la Corte di Cassazione ha sentenziato in materia e lo ha fatto come sempre con un linguaggio incomprensibile. Mi pare di aver capito quanto segue, leggendo quella sentenza: l’elusore, di per sé, non è un delinquente; lo diventa – ed è quindi penalmente punibile – quando con i suoi atti (e quindi con la riduzione delle imposte) viola le norme antielusive superando la soglia di punibilità sancita per l’evasione fiscale. Il concetto è: caro elusore, non sei un parassita sociale, giustamente utilizzi norme a tuo favore per pagare meno tasse e meno imposte; ma attenzione: non devi esagerare perché se hai un buon commercialista e usi bene le norme a tuo favore ed eviti, di conseguenza, di pagare un bel po’ di tasse e imposte, allora sì che diventi un delinquente perseguibile. É un fatto di quantità, dunque. O, se volete, un invito alla moderazione, a utilizzare misuratamente le norme quando le norme aiutano il contribuente. La Cassazione, come è noto, cavilla sul cavillo ma quello che sentenzia ha rigore e rango normativo.
Penso al partito che vende la birra e poi pontifica sull’elusione fiscale, al panino venduto senza scontrino e certamente preparato senza inflessibilità sanitaria. Ai circoli serrati, alla Finanza. Alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica che il cittadino deve per forza conoscere come l’incallito scommettitore tenuto a conoscere e saper leggere le bollette della Sisal. Penso alla moderazione che il fisco richiede nell’applicazione delle norme quando quelle norme sono favorevoli per il contribuente. Penso: uno Stato è qualcosa di veramente ridicolo. Al mondo, se vuoi complicare le cose semplici, non c’è niente di meglio di uno Stato.