L’autorità sa che non siamo imbelli, e giustamente ci teme. Ci teme fin da quando Alfonso d’Este scoprì che le sua amate bombarde erano stupidi giocattoli senza il genio dei cannonieri del distretto granducale di montagna, e si sentì obbligato a patentarci, cullandosi nella singolare fantasia che, messi a salario, gli saremmo stati servi riconoscenti. Sappiamo che l’autorità trova un suo nascosto piacere nel vedersi temebonda: il timore è ciò di cui dispone per calcolare la quantità di inimicizia e rancore che è capace di generare il suo potere, e dunque per valutare la sua stessa efficienza.
Maurizio Maggiani, “Meccanica celeste”, Feltrinelli, 2010