Sul sito della FIGC risultano tre convocazioni in Nazionale A: il 25 ottobre 1936 per la gara Italia-Svizzera (4-2 il risultato finale dell’incontro), il 13 dicembre dello stesso anno per Italia-Cecoslovacchia (2-0) e infine il 31 ottobre 1937 per Svizzera-Italia (2-2), partita valida per la Coppa Internazionale.
Bruno Neri, nato a Faenza il 10 ottobre del 1910, era un terzino destro, poi mediano; sempre dal sito della Federcalcio si apprende che nel ’36 era tesserato con la Lucchese Libertas e l’anno successivo con il Torino. La sua è una storia meravigliosa e tragica ed è il caso di ricordarla alla vigilia di questi Mondiali di calcio. Perché Neri, dopo essere stato calciatore e allenatore, è stato partigiano, morto il 10 luglio 1944 nei boschi di Marradi, nel Mugello, su un sentiero verso l’eremo di Gamogna, in uno scontro a fuoco con i nazisti.
Una foto del 1931 è emblematica. È il 10 settembre e a Firenze si inaugura lo stadio progettato dall’ingegner Pier Luigi Nervi (l’attuale “Artemio Franchi”) e dedicato allo squadrista Giovanni Berta. La formazione della Fiorentina è in campo per l’amichevole con il Montevarchi e i calciatori fanno il rituale saluto romano poco prima del fischio d’inizio. (altro…)
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Bruno Neri, calciatore
Pubblicato: 6 giugno 2014 in biografie minime, pretesti, StorieTag:Alessandro Parronchi, Ambrosiana Inter, Artemio Franchi, Battaglione Ravenna, Berni, Bologna, Bruno Neri, Cecoslovacchia, Eremo di Gamogna, Ernest Erbstein, Eugenio Montale, Faenza, FIGC, Fiorentina, Firenze, Gazzetta dello Sport, Giovanni Berta, Lucchese, Mario Luzi, Massimo Novelli, Nazionale di calcio, Nico, Partito d'Azione, Pier Luigi Nervi, Raimondo Craveri, Serie A, Superga, Svizzera, Torino, Vittorio Bellenghi
A un convegno, oggi, una assessora di un Comune abruzzese ha detto: “Siamo i primi in Italia ad aver fatto…”. E ha aggiunto i dettagli di ciò che il suo Comune ha fatto per primo in Italia. Per primo. È una cosa che si sente spesso. C’è sempre chi, per primo in Italia, ha fatto una cosa. E ne rivendica il merito, giustamente e con orgoglio, con vanto. Si riferisce, ovviamente, a azioni, attività, iniziative, progetti innovativi e positivi. Cose buone fatte bene, per intenderci. Per le cose buone fatte bene, a me piacerebbe sentir dire: “Siamo gli ultimi in Italia ad aver fatto…”. Riconoscerei lo stesso merito. Sarei infatti contento di sapere che una cosa buona fatta bene è stata da tutti – tutti – ammessa, approvata, realizzata.
Un cane in casa. Per legge
Pubblicato: 18 settembre 2012 in pretestiTag:animali, cane, condominio, legge, Parlamento, Stato
Il Parlamento sta esaminando un disegno di legge sui condomini. La discussione va avanti da un po’ di mesi, è partecipata e c’è da dire che il testo in discussione è l’unificazione di quattro o cinque diversi disegni di legge sullo stesso argomento. Si tratta quindi di una materia sulla quale più di un parlamentare ha sentito l’esigenza di presentare proposte articolate.
Nel testo unificato c’è un articolo sul quale, come d’uso, sono stati richiesti pareri e presentati emendamenti. Non ricordo quale sia esattamente, ricordo il concetto. Questo: a dispetto di ogni divieto presente nei regolamenti condominiali attualmente in vigore, l’inquilino deve avere la possibilità (l’arbitrio) di detenere in casa un animale da compagnia senza dar conto a nessuno. Principio che condivido, sia chiaro.
È dunque necessario trasformare questo principio in legge, com’è evidente.
Il potere dello Stato trova nutrimento nell’incapacità degli uomini di ricorrere al buon senso e di regolare in autonomia faccende semplici. Così lo Stato s’attrezza e si organizza in modo da sembrare indispensabile nella sistemazione di ogni aspetto della vita dell’uomo. In questo lui trova fortuna, l’uomo ritrova sudditanza.
Se il partito vende la birra e poi pontifica sull’elusione fiscale
Pubblicato: 3 agosto 2012 in pretestiTag:Agenzia delle Entrate, circoli privati, Corte di Cassazione, elusione fiscale, evasione fiscale, fisco, Gazzetta Ufficiale, partiti, Sisal
C’erano i circoli privati fino a qualche anno fa ed erano parecchi. Facevi la tessera e ci andavi quando ti pareva non tanto per le attività culturali quasi inesistenti, ma per bere la birra a buon prezzo. Poi la Finanza ne ha chiusi un bel po’: l’attività culturale era una copertura (così dicevano ai giornali i finanzieri al termine dei controlli e una volta messi i sigilli ai locali) perché a loro giudizio l’esercizio era in realtà commerciale a tutti gli effetti. Di ristorazione, qualche volta. Il buon prezzo per l’utente finale era garantito da un regime fiscale favorevole: niente (o poca) Iva, niente burocrazia da mantenere, scarsa attività consulenziale su fatture e carte bollate, nessun obbligo di registri fiscali, nessun adempimento riguardo le uscite di sicurezza, eccetera.
Era un buon sistema, devo dire. Buono e tendenzialmente equo: i gestori di questi circoli campavano, non diventavano certo milionari grazie all’Iva risparmiata. Ed era, va detto, legale.
In questi giorni sono andato alla festa di un grande partito. Sono quelle feste estive messe a luglio, feste in cui si parla di politica, di società, di cultura. Di temi di interesse generale, insomma. Dibattiti, reading, interviste, cinema all’aperto e cose di questo genere. E bancarelle: una fiera di paese. C’è anche la ristorazione, a volte appaltata a ristoranti veri e propri (ovviamente profit), a volte gestita direttamente dai volontari del partito. No profit, dunque. Fai la fila alla cassa (anzi, da quello o quella che raccoglie i quattrini), paghi e ti danno subito il fogliettino numerato dei blocchetti colorati Buffetti grazie al quale potrai prendere un po’ più avanti il panino con la porchetta o col wurstel, e la birra. Fateci caso, se ci andate: i soldi sono manovrati sempre in cassette portavalori da ufficio, quelle di vernice rossa o verde, con la chiusura a chiave e la maniglia di metallo lucente.
Probabilmente i partiti utilizzano lo stesso sistema dei circoli privati. Non lo so per certo, ma immagino di sì. Con una differenza: la tessera, in questo caso, non serve per prendere birra e panino. La Finanza non va a chiedere scontrini e ricevute. Anzi: all’ingresso dell’area della festa trovi la Polizia di Stato a far la guardia, pronta a intervenire in caso di odiose provocazioni sempre possibili quando di parla di ideologie e di come si immagina il presente per realizzare qualcosa di buono per il futuro.
La cosa, va detto, non mi scandalizza. Trovo, certo, una differenza importante: il partito può vendere tranquillamente la birra e i circoli privati, invece, hanno la Finanza alle natiche.
Non mi scandalizza, ma mi fa venire in mente il concetto contorto dell’elusione fiscale.
Il fatto è questo.
L’evasore fiscale è il noto parassita della pubblicità televisiva dell’Agenzia delle Entrate. Dovrebbe pagare, ma non lo fa. Vive a spese degli altri, dicono le Entrate. L’elusore, invece, le tasse le paga, ma in misura ridotta. Cioè: l’elusore utilizza norme esistenti, vigenti, per pagare otto al posto di dieci. Si insinua nelle pieghe delle leggi, entra nella giungla delle circolari, degli interpelli, nel mercatone dei decreti e lo fa per pagare meno utilizzando norme a lui favorevoli. Tecnicamente, quindi, non fa assolutamente niente di illegale. Eppure è considerato un soggetto potenzialmente pericoloso, uno da tenere d’occhio. Di recente anche la Corte di Cassazione ha sentenziato in materia e lo ha fatto come sempre con un linguaggio incomprensibile. Mi pare di aver capito quanto segue, leggendo quella sentenza: l’elusore, di per sé, non è un delinquente; lo diventa – ed è quindi penalmente punibile – quando con i suoi atti (e quindi con la riduzione delle imposte) viola le norme antielusive superando la soglia di punibilità sancita per l’evasione fiscale. Il concetto è: caro elusore, non sei un parassita sociale, giustamente utilizzi norme a tuo favore per pagare meno tasse e meno imposte; ma attenzione: non devi esagerare perché se hai un buon commercialista e usi bene le norme a tuo favore ed eviti, di conseguenza, di pagare un bel po’ di tasse e imposte, allora sì che diventi un delinquente perseguibile. É un fatto di quantità, dunque. O, se volete, un invito alla moderazione, a utilizzare misuratamente le norme quando le norme aiutano il contribuente. La Cassazione, come è noto, cavilla sul cavillo ma quello che sentenzia ha rigore e rango normativo.
Penso al partito che vende la birra e poi pontifica sull’elusione fiscale, al panino venduto senza scontrino e certamente preparato senza inflessibilità sanitaria. Ai circoli serrati, alla Finanza. Alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica che il cittadino deve per forza conoscere come l’incallito scommettitore tenuto a conoscere e saper leggere le bollette della Sisal. Penso alla moderazione che il fisco richiede nell’applicazione delle norme quando quelle norme sono favorevoli per il contribuente. Penso: uno Stato è qualcosa di veramente ridicolo. Al mondo, se vuoi complicare le cose semplici, non c’è niente di meglio di uno Stato.