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Sono andato a spasso nel web nero. Il “dark web”, il “deep web”, la “rete cipolla”, internet invisibile.
Non è così difficile arrivarci e non è nemmeno illegale, se è per questo. E’ illegale comprare armi e droga, è illegale acquistare un passaporto falso, una patente di guida texana e cose di questo genere. Ma nonostante non sia interessato a questa mercanzia (disponibile in quantità e a buon prezzo, negli scantinati bui di internet invisibile), sono andato a spasso e ho imparato parecchie cose.

Innanzitutto il deep web non si vede con un normale browser: serve un software in grado di anonimizzare la navigazione e di consentire l’accesso nel web invisibile.

Immaginate di trovarvi a passeggiare in una città: ci sono automobili e moto, incrociate gente, ci sono strade e negozi e semafori, bar con i tavolini sul marciapiede e pizzerie al taglio; immaginate che tutto questo sia internet così come lo conoscete. Immaginate poi che in una strada di questa città ci sia uno stabile con un grande magazzino al piano stradale e, di fianco all’entrata principale, aperta, una porta di legno malmesso; immaginate di entrare in questo varco e di scendere, di fare una lunga scalinata fino ad arrivare in un grande sotterraneo buio, immenso, abitato e rumoroso. Una volta entrati si fa un po’ di fatica a capire come muoversi: le regole sono un po’ diverse rispetto al piano strada, ma si fa in fretta a comprendere e basta davvero poco per cominciare a camminare in un ambiente che nonostante le apparenze non è per niente ostile. Questo è il deep web.

Immaginiamo, immaginiamo ancora.
Immaginiamo internet come un gigantesco agglomerato urbano abitato da miliardi di persone di tutte le lingue e tutte le età, con interessi e stili di vita, attitudini e preferenze, sentimenti e paure. Questo centro urbano è governato da regole scritte e consuetudini, i comportamenti dei suoi abitanti sono noti e c’è un ordine che sappiamo comprendere e accettare; l’ambiente ci è familiare e tutto quello che succede qui è più o meno lecito. Sotto questa città, però, c’è un sotterraneo grande esattamente quanto la città, solo meno abitato: ci sono ancora tanti spazi vuoti.

Nel dark web nessuno ha un nome e nessuno ti chiede niente. Non serve a niente avere un nome, da quelle parti; anzi, farsi riconoscere finisce per essere un fatto rischioso. Ci sono indirizzi (incomprensibili, all’inizio) e luoghi, ritrovi e servizi proprio come succede in superficie, perché lo spazio e il tempo devono avere anche lì una organizzazione. Nello scantinato buio di internet, per esempio, ci sono negozi, ma fareste bene a ricordarne la posizione poiché non c’è una insegna che possa aiutare a orientarsi: non esistono indirizzi mnemonici, url semplici da ricordare. Chi potrebbe mai ricordare, ad esempio, l’indirizzo http://3suaolltfj2xjksb.onion/hiddenwiki/index.php/Main_Page o l’indirizzo http://xqz3u5drneuzhaeo.onion/users/efgchat/ o, ancora, l’indirizzo http://2ue35wfkmo3dlgjm.onion/?
Quello che avviene nel deep web non è in alcun modo tracciabile poiché il software necessario per entrare garantisce la privacy assoluta. Una volta entrati, ci si muove senza essere individuati.
Su internet invisibile ci sono già molte leggende. Una, per esempio, riguarda l’esistenza di oltre 500 miliardi di pagine web “oscure” a fronte dei due miliardi di pagine di internet. E questo è, a dire il vero, improbabile.

Se nel deep web cercate un motore di ricerca, perdete tempo: tutto funziona sul passaparola, sulla socializzazione della conoscenza e sulla trasmissione di esperienza. Non esiste un “dark google”, per intenderci. I pochi elenchi disponibili di siti sono così scarni da apparire ridicoli e di fatto utili solo a muovere i primi passi. Le pagine web che si trovano in questo mondo parallelo hanno una caratteristica: hanno sempre una grafica essenziale, leggera, senza fronzoli tecnologici e senza quegli inutili abbellimenti che nel web in chiaro rendono la pagina bella, gradevole, attraente, intrigante. Anche l’estetica, lì, non serve a niente. Chi ha visto nascere il world wide web negli anni ’90, ricorderà i primi siti: semplici, per lo più testuali. Ecco: nello scantinato buio tutti i siti sono fatti così e il web 2.0 è cosa del tutto inutile.
Laggiù non c’è più o meno nulla di non consentito e se adottate filtri morali per giudicare quello che avviene o che potenzialmente può avvenire, rischiate di fare una brutta esperienza.
Lì si trova tutto: armi di ogni genere, droga di ogni tipo, documenti falsi, killer, prestanome per ogni tipo di operazione; ma trovate anche libri, film, oggetti, automobili in vendita, luoghi dove chiacchierare e socializzare, forum e chat. È un web parallelo con la possibilità di trovare quello che sul web che tutti conosciamo non è consentito. Ciò che non è lecito.

C’è anche una moneta. Si chiama bitcoin (http://it.wikipedia.org/wiki/Bitcoin) e ha caratteristiche che la rendono del tutto diversa da quelle che abbiamo imparato a usare: non conosce – non può, tecnicamente, conoscerla – l’inflazione ed è una moneta straordinariamente stabile. Perché la circolazione del bitcoin non è gestita da una banca centrale e per di più nessuno è in grado di creare nuova moneta. Circola dal 2009 e il suo creatore, Satoshi Nakamoto, è morto in circostanze misteriose portando con sé i segreti dell’algoritmo usato per “stampare” la moneta. Si calcola che i bitcoin disponibili siano equivalenti a 57 milioni di dollari americani. Il possesso, il trasferimento e l’impiego di questa moneta elettronica sono regolati dall’anonimato: bitcoin utilizza un database distribuito tra i nodi della rete invisibile che tiene traccia delle transazioni e sfrutta la crittografia per garantire le caratteristiche più importanti della moneta, come il fatto di permettere di spendere bitcoin solo al legittimo proprietario e di poterlo fare una sola volta. Un bitcoin vale 4,2 euro; si compra sul web “normale”, si spende in quello parallelo.

Sono entrato nel dark web e ho imparato queste cose. Mi sono fatto anche un’idea. Questa.

Internet invisibile è riuscito già a farsi sistema e mondo. Vive una condizione storica precisa: può contare su un passato, ha un presente, ha una visione del futuro.
Il passato sul quale può contare è rappresentato dall’esperienza e dai contenuti di ciò che il web “normale” ha espulso: le pratiche di violazione del copyright e i siti di pirateria rinascono indisturbati, la dura repressione e le censure praticate sul videosharing lì non trovano applicabilità e non hanno senso. Allo stesso modo trovano la quiete e una collocazione non più nomade siti come Wikileaks. Il deep web non può essere chiuso né censurato dalle autorità. Può piuttosto subire la funzione regolatrice, normativa, della comunità. Ed è successo: gli hacker di Anonymous, per esempio, hanno bloccato un sito che diffondeva materiale pedopornografico. Ma è una funzione debole, resa difficile dall’impossibilità di controllare tutti i meandri di un mondo così magmatico e informe.
La dimensione del presente è caratterizzata dall’assenza del conflitto ossessivo tra individuo e infrastruttura telematica, soprattutto in relazione alla gestione della privacy. Impossibile, ad esempio, subire profiling sul deep web: se pure “profilare” un utente fosse tecnicamente possibile, nei fatti questo diventerebbe inattuabile per la rinuncia all’identità che ciascun frequentatore fa. È tuttavia vero che lì si sta sviluppando una sacca di pratiche considerate illegali nel mondo reale e nel virtuale visibile ed è evidente il rischio di crescita di una nuova criminalità e persino di una inedita ideologia del crimine impavido.
Questo ultimo aspetto merita qualche parola in più.
Finora gli strumenti del web in chiaro sono stati utilizzati dalle criminalità organizzate e dal terrorismo internazionale (esistono, in tal senso, ampi riscontri di fonte giudiziaria) per le comunicazioni interne, ma è inedita la circostanza secondo la quale chi vende droga o armi riesce addirittura a creare un sito di e-commerce potenzialmente accessibile a tutti; allo stesso modo è impensabile trovare sul web “normale” il sito di un killer con la descrizione precisa dei servizi offerti e delle condizioni con tanto di tariffe. È una criminalità che, nel deep web, non ha bisogno di nascondersi più di tanto. Aiutano molto anche i nuovi accorgimenti tecnologici. Secondo alcuni esperti, uno di questi siti di commercio elettronico (Silk Road) per ogni transazione andata a buon fine genererebbe flussi di dati relativi a migliaia di falsi – ma plausibili – acquisti. Tutto questo per depistare eventuali sentinelle in grado di intercettare i dati relativi al reale acquirente di armi, droga o documenti falsi.

E, infine, la visione del futuro. L’individuazione di patti di convivenza è un adempimento superfluo, la funzione organizzativa dei bisogni non è indispensabile né è richiesta e, di conseguenza, il futuro del deep web è un gigantesco mercato nero di ogni cosa (oggetti, servizi, sentimenti, intrighi, documenti), un alienante far west inconquistabile e irriducibile. Il nonluogo perfetto.

Ah, dimenticavo. Nel deep web c’è finanche un sito che offre servizi di posta elettronica non tracciabile. Si chiama Tor Mail. Ha un indirizzo sul web normale (www.tormail.org), ma i servizi vengono assicurati soltanto entrando nel deep web e digitando il vero indirizzo del sito. Questo: http://jhiwjjlqpyawmpjx.onion/

Le foto sono di Andrea Falconi – Parigi, 2012

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